Sangue

 

 

 

Il battello si inoltrò nell’ultimo cunicolo, dopodiché i passeggeri sarebbero scesi per poi risalire in superficie. La gita era terminata. Quello era l’ultimo viaggio della giornata e nessun altro battello si sarebbe di nuovo avventurato laggiù fino al giorno successivo. Era incredibile come la gente fosse attratta da quelle lunghe gallerie, dagli insinuosi meandri che si celavano nel terreno sottostante la città: era incredibile come la gente fosse attratta dalle fogne di Parigi.

Nonne, bambini, zie, comitive, innamorati dai gusti discutibili, ogni giorno visitano quegli infiniti cunicoli, parte dei quali abbandonata da decenni, popolata da topi; non si può, dunque, biasimare qualcuno, se non si accorsero che mancavano tre ragazzi: Jean Moivre, Robert Sannes e Victor Martre.

 

 

                                                        

 

“E’ stata proprio un’idea eccezionale, ragazzi!”, esclamò Robert.

“Non mi sono sentito mai così eccitato.”

I ragazzi risero. Muniti di torcia esploravano alcuni corridoi di una zona che avevano giudicato interessante. Grosse ragnatele attraversavano gli spazi e il pavimento, umido e sudicio, era pieno di animali morti. I tre avevano una cartina ben particolareggiata che permetteva loro di districarsi in quel labirinto sotterraneo.

“Ecco, ragazzi!”, disse Jean, “Qui inizia la zona che non è disegnata in nessuna pianta. Saremo dunque gli unici che potranno raccontare come è fatta e cosa c’è.” Victor e Robert annuirono e seguirono il loro compagno.

Questa volta il corridoio era più stretto del solito e c’erano molti più incroci in cui bisognava scegliere una nuova pista da seguire. Improvvisamente videro una debole luce giallognola che proveniva dalla loro sinistra. Decisero di andare a vedere che cosa c’era.

Rimasero senza fiato.

Un’enorme distesa d’acqua si presentava dinnanzi a loro.

“Acqua rossa!”, esclamò Robert.

Jean si avvicinò al bordo della vasca e immerse una mano nel liquido scuro e denso, rosso.

“Non è acqua”, disse, “è sangue.”

“Scherzi?”, irruppe Victor, “Per avere così tanto sangue dovrebbero sgozzare l’intera popolazione di New York!”

“Cosa credi che sia, succo di pomodoro?”, ribatté Jean.

“Io…credo che ci stiamo mettendo nei guai!”, sospirò Robert.

“Forse…”, continuò Victor, “è qualcosa che assomiglia al sangue… che so, qualche prodotto industriale; ecco, potrebbe essere del sangue per i film dell’orrore!”

“Ne hanno in mente molti, a quanto pare.”

“Guarda la vasca; sarà lunga centinaia di metri e larga una ventina.”

Jean corrucciò un poco il viso e poi si decise.

“Che facciamo?”, chiese Robert.

“Bah, andiamo per di là!”

I tre si avviarono imboccando alcune gallerie che si trovavano alla loro destra. Proseguirono sempre in quella direzione, senza mai girare. All’improvviso udirono un boato.

“Che sarà mai?”, chiese Victor.

“E’ proprio quello che voglio sapere.”, rispose Jean.

I ragazzi si diressero speditamente da quella parte. Ora il suono era più grave, ma si percepiva ancor più distintamente.

Squittii, ronzii e svolazzamenti vari disturbavano sempre di più il loro ascolto a mano a mano che il suono si affievoliva.

Improvvisamente il boato si ripeté.

“Questa volta ho capito da dove viene. Seguitemi!”, esclamò Jean.

Si inoltrarono ancora di più verso la direzione dalla quale sembrava provenisse il rumore finché ad un tratto Jean si fermò.

“Ora non si sente più quasi nulla, credete che lo ascolteremo di nuovo?”

“Non credi che ci convenga lasciar perdere?”, chiese Victor mentre si soffiava il naso.

“E… Robert dov’è?”

“Qui con me… e… dove… Robert?”

Nessuno rispondeva. Ora neppure gli squittii dei topi erano più nell’aria. C’era un silenzio assurdo.

“Robert!”, echeggiavano le voci di Jean e Victor. Dapprima chiamarono, poi gridarono. Infine il loro era un pianto dirotto.

 

 

(2)

 

L’uomo era incappucciato. Due braccia forti e muscolose uscivano dallo strano abbigliamento nero come l’inchiostro. Qualche arnese metallico luccicava sul pavimento alla debole luce di una fiaccola. L’uomo non parlava. Era intento ad incatenare Robert su di una piattaforma. Lo aveva completamente denudato. Il ragazzo si svegliò. Cominciò a chiedere, a fare domande, ma l’uomo non rispondeva. Si allontanò un attimo. Tornò con un’accetta. Robert tremava. Ora non riusciva neppure ad aprire bocca. Il suo volto si impallidì. L’incappucciato eseguì il suo rituale macabro sul corpo del giovane. Robert aveva mandato un urlo disumano. Il sangue colava da tutte le parti insozzando il pavimento. Robert si dimenava utilizzando chissà quali energie. L'incappucciato mise delle unghie metalliche alle proprie dita e completò la sua opera senza alcuna esitazione, poi appoggiò il coltello, che aveva impugnato con la destra, su di un tavolo, insieme agli altri arnesi.

 

 

                                                             (3)

 

Jean e Victor erano ormai esausti. Avevano cercato il loro compagno dappertutto, tanto che ora non sapevano più dove si trovavano: i corridoi si intrecciavano e sembravano tutti uguali.

Stavano camminando lungo una delle tante gallerie, quando ad un tratto videro qualcosa. Del sangue stava colando sul pavimento; proveniva dalla loro sinistra; c’era un’altra galleria da quella parte, per accedere alla quale bisognava salire alcuni scalini. Il sangue scendeva su di essi gocciolando pian piano. Sul pavimento c’era una lunga scia che sembrava…, no assurdo, sembrava voler indicare una direzione. Incautamente seguirono quella scia. Non si erano sbagliati, indicava proprio una strada, tant’è vero che li conduceva attraverso una specie di tubo gigante che non avevano mai percorso prima. Il suo diametro poteva essere di un paio di metri. Dopo averlo attraversato entrarono in una vasta sala. La scia rossa terminava ai piedi di un enorme vaso di vetro pieno di sangue.

“Ci hanno voluto portare qui.”, disse Victor.

“Già! E mi chiedo perché.”, pronunciò Jean mentre si guardava attorno; l’unica entrata era quella del tubo. La scia rossa sembrava voler indicare quel vaso.

“Cosa avrà quel vaso di tanto importante?”, si chiese mentalmente Jean.

I ragazzi si avvicinarono lentamente ad esso. Qualcosa, grosso come un cocomero, galleggiava sul liquido denso e corposo.

“Ma…quella è…”

Victor si allontanò di scatto e vomitò in un angolo. Jean si sentì come preso dal panico. Avrebbero dovuto fuggire. Se ne sarebbero dovuti andare lontano. Ma non riuscivano a muoversi.

“Quella è…“, balbettò Victor.

“Sì. E’ la testa di Robert. E tutto quel sangue è, probabilmente, una specie di spremuta del suo corpo. Ho visto le sue dita sparse qua e là per il vaso… “, ribatté Jean con le lagrime agli occhi.

“Dobbiamo andarcene al più presto, Victor, se vogliamo salva la vita.”

“Sì, certo fuggiamo!”

“L’uscita dovrebbe essere a destra del tubo.”, disse Jean mentre lo attraversava correndo. Non appena entrambi furono entrati, esso si mise a ruotare. Caddero a terra, mentre un fiume di sangue cominciava a sommergerli. Rischiavano di annegare, ma riuscirono ugualmente ad alzarsi in piedi e ad uscire dal tubo, dopodiché iniziarono a correre come non si è visto mai nessuno.

Corsero… corsero per molto tempo. La direzione doveva essere quella giusta, ma i corridoi che stavano attraversando sembravano loro del tutto nuovi. Ad un tratto il passaggio era bloccato.

C’era una porta. Era piccola. Riuscirono ad entrare abbassando un poco la testa e sbucarono in una stanza non molto spaziosa. In fondo c’era un’altra porta. Era chiusa a chiave.

Presi dal panico tornarono immediatamente sui propri passi. Qualcuno aveva chiuso a chiave anche la prima. Erano in trappola. Quasi immediatamente videro del gas uscire da alcuni fori e cominciarono a tossire. Poi non ricordarono più nulla.

 

 

(4)

 

Gli incappucciati stavano sistemando alcune lame dentro un grosso armadio. Il salone era molto grande e fievolmente illuminato da poche fiaccole. Jean era stato legato su di una ruota che ogni pochi secondi gli faceva immergere la testa in una vasca piena di sangue. Victor era invece incatenato sul pavimento.

Ad un tratto la ruota si fermò, permettendo a Jean di vedere cosa succedeva nella stanza. Udì un rumore assordante e poi vide un enorme cilindro di pietra che pian piano avanzava verso Victor. Jean urlò.

Il cilindro lo stava schiacciando inesorabilmente. Le urla si fecero forsennate. Quell'infernale marchingegno non accennava a fermarsi.

Ad un tratto il rumore cessò.

Uno degli incappucciati avanzò con un coltello verso Victor che ancora non era morto ed iniziò il suo rituale macabro, mentre l’altro era costretto, suo malgrado, ad assistere alla scena. Quando il rito fu terminato Jean era già svenuto.

 

 

                                                                       (5)

 

Jean si ritrovò impazzito e denudato a vagare per i corridoi che non finivano mai. Si mise a correre. Come mai l’avevano lasciato in vita? Come mai non avevano ucciso pure lui? Tutti questi pensieri gli affollavano la mente; non riusciva proprio a liberarsene. Si guardò il corpo. Non gli avevano lasciato nulla addosso. Era sporco di sangue. Aveva pruriti dappertutto. Aveva freddo. Aveva fame.

Ad un tratto sentì dei passi. Qualcuno lo stava inseguendo. Cominciò a correre più forte. Svoltava gli incroci prendendo una via a caso. Non badava a dove stava andando. Ad un tratto si mise a piovere. A piovere? Com’era possibile dentro un tunnel? C’erano dei fori sopra di lui, ma non era acqua che stava cadendo, era sangue, sangue, sangue…. SANGUE…Ah!

Stava impazzendo, il sangue gli colava su tutto il corpo; non riusciva quasi a respirare. Gli entrava nei polmoni, lo sentiva nello stomaco, ne percepiva l’odore acre e pungente, gli entrava nel cervello, vedeva rosso, tutto rosso, rosso…

Continuava ad avanzare sbattendo ogni tanto la faccia sulle pareti. Il sangue che gli colava dal naso si mescolava a quello che proveniva dal soffitto. Udì ancora il rumore di passi. Lo stavano inseguendo. Gli erano dietro.

Ad un tratto sentì una fitta dolorosa ad una spalla. Portò istintivamente la mano su di essa e vi trovò una freccia infilzata. Si voltò di scatto e vide tre incappucciati che gli erano alle costole. O forse erano quattro, cinque, oppure uno soltanto. La paura lo fece correre ancora più speditamente. Altre tre o quatto frecce gli si erano impiantate sulla schiena e Jean continuava a correre come se non fosse niente. Aveva freddo. I brividi gli percorrevano tutto il corpo. I piedi erano feriti e doloranti. All’improvviso una corrente di aria gelida lo investì. Jean si sentiva davvero male. Correva e vomitava, correva e tremava, finché le gambe non gli cedettero. Cadde a terra.

Fu preso dal panico; il rumore dei passi si fece più vicino. Strisciò fino ad un angolo e si nascose in un tratto buio della galleria ansimando ed aspettando che la morte lo raggiungesse.

Insperatamente gli incappucciati passarono senza vederlo. Per un attimo il cuore ricominciò a battergli. Decise di sfruttare la situazione; si rialzò e riprese a correre verso una direzione cercando di far perdere le proprie tracce. Stava correndo disperatamente quando si accorse che quel corridoio lo conosceva già. Ora era sicuro: c’era già passato assieme a Robert e Victor.

Istintivamente voltò a destra. Percorse per intero quel cunicolo buio, poi fu colto da un enorme sollievo: vide alla sua sinistra una luce giallastra in lontananza. Aveva ritrovato la via per uscire da quell’inferno. Si fermò un attimo ad ascoltare: i passi sembravano molto lontani, ma non avrebbero tardato a raggiungerlo. Riprese a correre.

Si ritrovò, così, davanti all’immensa vasca piena di sangue. Era lunghissima. I suoi bordi si perdevano nei meandri del buio. Ora avrebbe saputo ritrovare la via del ritorno.

Improvvisamente si vide circondato dagli incappucciati. Non gli rimaneva che gettarsi in acqua, o, meglio, nel sangue. Nuotò, nuotò a lungo cercando di raggiungere l’altra sponda prima che avessero fatto il giro della vasca. Raggiunse il bordo. Si guardò attorno, ma non vide traccia degli incappucciati. Con la fretta di chi si sente disperato si aggrappò ad un mattone sporgente per cercare di risalire. In cuor suo cominciava a sentirsi meglio perché sicuro che ormai non avrebbero potuto raggiungerlo.

Tirò fuori un piede dalla vasca. Si girò.

Non aveva più la gamba!

Un mostro enorme, rossiccio come il sangue in cui era immerso, stava masticandola con i suoi denti da pescecane. Jean fu preso da un capogiro per l’enorme dolore e scivolò di nuovo nel sangue.

La bestia si gettò su di lui strappandone un braccio che divorò in un sol boccone. Poi lo morse. Tornò ancora sul corpo del ragazzo strappandone alcuni brandelli, masticandoli con le sue forti mandibole. Ai lati delle fauci c’erano due grosse aperture, una sorta di branchie che filtravano il sangue. Il mostro si accanì sui pochi resti del giovane corpo, addentandoli e stritolandoli con forza. Poi alzò per pochi secondi la testa fuori dal sangue come per guardarsi intorno... Subito dopo si immerse nella vasca nuotando in profondità.